Appunti di Storia della Cooperazione

Il 19 ottobre 2005 si è tenuta la quinta giornata del Borgo incentrata sulla storia della cooperazione e del movimento cooperativo che ad essa ha dato concretezza.
L’obiettivo era quello di ricordare ai soci che la coop. Il Borgo si inserisce in una tradizione e in una storia che da secoli propone alla società modelli di sviluppo più idonei al benessere della persona umana e della società.
Un sunto dell’intervento introduttivo del dott. Colombo di Confcooperative, integrato da qualche altra informazione generale, viene riportato di seguito.

Quando oggi parliamo di cooperazione usiamo i termini di movimento cooperativo, di sistema cooperativo, di progetto cooperativo, come ama definirlo Henry Desroche, uno dei più illustri teorici della cooperazione, oppure di utopia cooperativa secondo l'espressione di chi colloca il fenomeno tra i tanti sogni irrealizzabili della organizzazione sociale.
Personalmente preferiremmo attenerci al termine "movimento" perché la "cooperazione" sta ancora proseguendo nel suo cammino di inserimento, occupando spazi sempre maggiori, tra i sistemi capitalista, neocapitalista e quello collettivista ormai in netto declino.
Se diverrà, in questo suo cammino, la terza via o se raggiungerà lo stadio della repubblica cooperativa, come vagheggiava il filosofo Gide, resta ancora da vedere.

Saremmo tentati di ricercare una qualche ragione misteriosa e poetica alla nascita della cooperazione. Ma purtroppo la sua nascita non fu né grande né poetica: nacque invece dalla miseria e dal bisogno umano, nacque come atto di difesa delle classi più povere e disagiate, nacque da quel proletariato oppresso e senza speranze che la società umana produsse come tributo alla trasformazione della società agricola in quella industriale.
È in Inghilterra che troviamo i primi esempi di una forma di autodifesa o di mutuo aiuto che verrà poi definita con il termine di cooperazione.
La storia ci ricorda i primi modesti tentativi dei lavoratori dei cantieri marittimi di Woolwich e Chatham per la gestione in comune di un mulino per la macinazione del grano (anno 1760) e dei tessitori di Fenwich per l'acquisto in comune di macchinari (1761) e pochi anni dopo (1769) per l'acquisto collettivo di derrate alimentari.

Non sono certo questi i primi esempi di collaborazione umana, ma prendiamo le mosse da questi esempi perché è in questo'periodo che trova le sue radici quella prima forma di socialismo utopistico che influenzò largamente la nascita del movimento cooperativo.
Né è possibile individuare con chiarezza la matrice ideologica della cooperazione: prima della ideologia era in fondo già comparsa la cooperazione stessa.

È con Robert Owen che troviamo, accanto ad alcune esperienze pratiche, una prima elaborazione teorica.
Siamo agli inizi del 1800 quando Owen, proseguendo l'opera del suocero Dale e preoccupandosi per lo stato di miseria degli operai delle sue fabbriche tessili, tenta il primo esperimento di conciliare lo sfruttamento del proletariato con forme di assistenza che gli operai stessi si autogestivano in forme associate. Owen realizza l'esperimento della New Lanark Mill Comunity ristornando parte degli utili delle sue tessiture a favore della comunità per una gestione comune di alcuni servizi (scuole, mense, lavanderie, ecc.).
Non siamo però ancora alla forma cooperativa; la produzione era gestita secondo i più ortodossi principi capitalistici, anche se in modo più umano.
La visione utopistica sociale di Owen troverà poi il suo compimento e il suo fallimento nella fondazione di New Harmony, nell'Indiana, dove tentò di costruire una comunità non affetta da genesi acquisitiva e non contaminata dal capitalismo.

Erano comunque queste le prime oscure radici della cooperazione che porteranno dopo pochi decenni alla nascita della forma cooperativa.
Dobbiamo qui ricordare il Dott. William King, animatore di una prima sia pur vaga forma cooperativa attraverso il suo giornale II Cooperatore, termine che servirà poi a definire il nostro movimento e che un esiliato francese, il giudice Joseph Rey di Grenoble importerà poi nel continente. Le parole cooperazione e cooperative verranno da allora usate per indicare un certo tipo di società che, staccandosi dalle radici del pensiero utopistico, divengono le prime esperienze pilota del movimento cooperativo.

La prima vera esperienza la troviamo ancora in Inghilterra, a Rochdale, dove nel 1844 per opera di 29 soci nasce la prima cooperativa di consumo, la Rochdale Society of Equitable Pioneers. L'esperimento di questi probi pionieri fu in sé cosa modesta e di breve durata. Ma assume rilevante importanza per la storia del movimento cooperativo perché dettò alcuni principi destinati a influenzare profondamente il movimento cooperativo.
La società era aperta a tutti ed aveva un controllo democratico: un solo voto per ogni socio; aveva a base la neutralità politica e religiosa, destinava un dividendo limitato sul capitale (5%) in quanto aveva il solo compito di fornire un servizio e si prefiggeva, accanto alla gestione di un servizio, quello della educazione cooperativa.

In questo stesso periodo anche in Francia si tentarono diversi esperimenti sociali.
Ricordiamo quelli di Frances Bouchez che promosse, tra il 1830 e il 1840, forme di associazioni cooperative tra mobilieri e orafi. Furono i primi esempi di cooperative di lavoro o di consorzi.
Louis Blanc, nel 1848, per alleviare la grave disoccupazione derivante dalla profonda crisi economica dell'epoca che anche allora colpiva in modo particolare i giovani, sollecitava al governo una legge per la creazione di laboratori, su base nazionale, da gestirsi in forma cooperativa. Anche oggi, in questo campo, non stiamo scoprendo nulla di nuovo.
Nasce, sempre in questo travagliato periodo, l'idea di una Banca del Popolo. Fu Pierre Joseph Proudhom. che nel 1848 ne propose l'istituzione. Oggi ricordiamo il Proudhom per una frase diventata celebre, quella che la proprietà è un furto, ma non come il pioniere di una prima "banca" popolare che, se sul piano pratico fu un completo fallimento, introdusse però alcuni principi destinati ad influenzare il futuro credito popolare.
Un breve cenno va fatto anche a Charles Gide, fondatore di quella che è ricordata come la Scuola di Nimes che ha segnato una tappa fondamentale nella storia della dottrina cooperativa.
Gide, che conosceva la cooperazione soprattutto attraverso le idee di Saint Simon e Fourier, vagheggiò addirittura una repubblica cooperativa in cui il sistema doveva coinvolgere tutta la vita economica dando vita ad un regime economico, dalla produzione al consumo, in cui il profitto doveva essere totalmente bandito.
Erano costruzioni utopistiche che apparentemente non portarono allora a risultati sul piano pratico. Ma vogliamo ricordare, a questo riguardo, parafrasando il pensiero di André Gide, romanziere e pronipote del filosofo e sociologo di Nimes, che spesso l'utopia è la porta stretta attraverso la quale si giunge alla realtà.

In Italia le prime esperienze in Italia di cooperative di consumo risalgono al 1864.

Come nel resto d’Europa da allora si sono sviluppate contemporaneamente anche coop. di credito per garantire le risorse finanziarie necessarie alle attività produttive e di crescita.

Oggi la cooperativa è la forma societaria che meglio supplisce e corregge le mancanze e le inefficienze sociali del modello organizzativo capitalista tradizionale. Nel corso degli anni altre tipologie hanno fatto ingresso a fianco delle cooperative di consumo e delle cooperative di credito sulla scena sociale italiana ed internazionale: cooperative di lavoro, cooperative agricole e soprattutto cooperative sociali, interessate recentemente da dispositivi legislativi che ne sottolineano, se ce ne fosse bisogno, l’importanza cruciale.
Al riguardo è necessario sottolineare che tali dispositivi si sono resi necessari anche per tutelare il mondo della cooperazione dall’invadenza di strutture che della cooperativa hanno solo il nome e che sfruttano questa particolare ragione sociale in modo improprio e talvolta al limite del lecito gettando così un’ombra su tutto il movimento cooperativo.

Comunque sia, le cooperative sociali o che comunque si prefiggono uno scopo sociale utile alla comunità nel suo complesso sono quelle che nel panorama italiano hanno il maggior tasso e la maggiore previsione di crescita proprio grazie alla loro originalità e al crescere delle sacche di inefficienza del sistema aziendale e produttivo tradizionale nell’elaborare un progetto sociale complesso.

Dall’intervento è emerso con chiarezza che l’intuizione di chi quotidianamente si impegna in cooperativa o di chi la sostiene non è l’illusione di uno sparuto gruppo di sognatori.
Si tratta viceversa di un’idea che affonda le sue radici oltre che nel concetto cristiano di solidarietà, in una tradizione filosofica, di azione sociale e politica ormai centenaria.
Questa consapevolezza è fondamentale per dare spessore ancora maggiore a una realtà locale di dimensioni certamente limitate, ma che rappresenta comunque un segno originale di discontinuità nel mondo del lavoro soprattutto nel campo dei rapporti aziendali interni.

 


In seguito all’intervento citato si è sviluppato un dibattito maggiormente incentrato sulla realtà specifica del Borgo:

  • Come si inserisce il Borgo nella cooperazione sociale?
  • Quali nuovi contatti e iniziative bisogna sviluppare per promuovere una nuova cultura
  • Quali strumenti già esistono?
  • Si mantiene un’identità passando allo status “azienda”?

Riassumere le idee, le intuizioni, la discussione è sicuramente difficile se non impossibile.
Tuttavia rimangono impressi nella memoria i suggerimenti di non dare mai per scontato il senso dell’attività, dell’habitat in cui si svolge, e delle persone coinvolte.
Rimane l’invito ad aprirsi a nuove realtà e attività, a cogliere le opportunità e ad individuare i bisogni.
Ad esempio valutare la possibilità futura di accedere a convenzioni dirette con le aziende per assolvere gli adempimenti relativi al collocamento obbligatorio.
Oppure a stipulare accordi con associazioni di impresa o con realtà non profit di altra natura tipo le comunità di accoglienza.
Resta la sollecitazione a non confondere la propria identità con lo status aziendale.

Ed è anche per dare seguito a questi suggerimenti, talvolta assunti con chiarezza, talaltra solamente intuiti, che il CdA propone annualmente la partecipazione a queste giornate di approfondimento.

Nella tradizione del Borgo si usa comunque abbinare ai momenti più seri una proposta più conviviale e perciò in chiusura alla formazione accolta da una ventina di soci non si deve dimenticare il pranzo sociale che tradizionalmente accompagna queste iniziative e che come sempre rifocilla, deliziandoli, i partecipanti.

A cura di Senior Chief Vice-president Alberto Salioni

Pranzo sociale

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